Corona VirusDiritto di famiglianewsL’incidenza del Covid 19 sugli equilibri familiari

21/03/2020
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Antonella Tarroni

Antonella Tarroni
Avvocato divorzista, fondatrice studio legale Antonella Tarroni Ravenna

L’altra faccia del Coronavirus è la convivenza coatta delle famiglie in abitazioni spesso troppo anguste per garantire il rispetto degli spazi vitali di ciascuno, una condizione del tutto straordinaria alla quale nessuno di noi era pronto, una sorta di “arresti domiciliari” per un tempo indefinito.

L’essere costretti in due, tre o anche più persone all’interno degli stessi spazi, se un lato può favorire l’affrontare insieme i problemi quotidiani e il recupero del senso di comunità familiare, dall’altro può far saltare le difese e rendere, a dir poco esplosive, molte situazioni.

Dalle ricerche effettuate sulle famiglie che hanno subito un terremoto, costrette a coabitazioni di blocco, è emerso che, in contesti di questo tipo si registra un aumento delle separazioni e, a distanza di uno/tre anni, anche un aumento dei suicidi o degli atti di autolesionismo tra i membri del nucleo familiare. Nelle famiglie problematiche, in cui sono già presenti situazioni di disagio, come casi di dipendenze da alcol o droga, o di maltrattamenti, la condizione di coabitazione coatta non può far altro che aggravare le tensioni e il malessere di ciascuno.

La convivenza forzata mette in difficoltà soprattutto le persone più fragili, chi è anziano, chi è solo, chi soffre di problematiche fisiche o psichiche, ma anche i tossicodipendenti e chi è portatore di altri disagi psichici, tuttavia i sintomi connessi alla coabitazione forzata a tempo indefinito, si manifestano anche nelle persone che non ha presentano altri disturbi e si trovano costrette a risolvere i numerosi problemi legati alla sospensione della normalità.

Questa situazione straordinaria in cui ci troviamo genera infatti un rapporto anomalo tra genitori e figli e numerose preoccupazioni per gli anziani che non vivono in famiglia e che spesso, sentendosi soli e non riuscendo a socializzare altrettanto facilmente con l’ausilio delle tecnologie, utilizzando Skype o WhatAapp o Facebook, come fanno i più giovani, finiscono per uscire di casa, mettendo a repentaglio la propria incolumità.

A questo carico già grave si aggiungono le preoccupazioni lavorative di coloro che hanno dovuto sospendere forzatamente la propria attività senza percepire alcun guadagno come molti liberi professionisti, i lavoratori stagionali e i tanti precari che devono barcamenarsi come meglio possono.

Questo momento di rivoluzione delle abitudini quotidiane, è certamente un importante banco di prova per le coppie.

Gli psicologi consigliano, soprattutto a chi vive in piccole case, come mono o bilocali, di ricreare una nuova struttura della gestione del tempo, separando rigorosamente i momenti in cui si è insieme e si fanno cose insieme, da quelli in cui si una propria intimità.

Bisogna imparare a ritagliarsi spazi e a rispettare quelli altrui, si, in buona sostanza, pretendere di potersi dedicare ai propri interessi senza essere disturbati.

Situazione ancora più critica per le coppie che al momento dell’emanazione degli ordini restrittivi si trovavano in fase di separazione legale:

  • quando uno dei coniugi ancora conviventi abbia già inviato la lettera tramite avvocato con cui ha formalizzato la propria intenzione di procedere alla separazione ma non abbia ancora lasciato la casa coniugale;
  • quando i coniugi conviventi abbiano già sottoscritto un ricorso per separazione consensuale ma non siano separati fisicamente;
  • quando uno dei coniugi abbia già notificato all’altro il ricorso per separazione giudiziale e pure continuino a convivere.

Mentre le prime due ipotesi, seppur difficili da gestire, possono condurre più facilmente ad una sorta di “patto di non belligeranza” pari alla durata dell’emergenza sanitaria, la terza situazione presenta notevoli pericoli.

Se ad esempio uno dei coniugi ha notificato all’altro un ricorso per separazione giudiziale con addebito contenente pesanti accuse di tradimento oppure di maltrattamenti familiari, la situazione di convivenza coatta può condurre a un rischio elevatissimo di ricadute nei loro rapporti e sui figli, i quali saranno condannati ad assistere a continue liti tra i genitori, ad accuse e recriminazioni varie e, nei casi peggiori, anche ad aggressioni fisiche.

Che fare allora?

Qualora la conflittualità diventi insostenibile e possa danneggiare seriamente i figli minori, è opportuno, per non dire necessario, che uno dei coniugi si trasferisca in un’altra abitazione, incaricando contestualmente il proprio legale di comunicare alla controparte le ragioni della propria decisione. Soprattutto nel caso in cui a lasciare l’immobile sia la moglie che ne ha richiesto l’assegnazione, la comunicazione formale avrà l’effetto di scongiurare il rischio che il trasferimento in altra abitazione venga interpretato come rinuncia tacita al diritto che le spetta ex lege.

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